L’antico popolo Inca e la conoscenza e coscienza femminile…
Nel periodo d’oro degli Inca c’era una organizzazione di donne sagge, chiamate Mamakuna, che furono le artefici di una forma di organizzazione socio-economica molto evoluta chiamata Tawantinsuyo, cioè il Governo delle Quattro Regioni. Scopo di questa organizzazione era il mantenimento della pace e la difesa della vita in tutti i suoi aspetti: e dunque degni di rispetto non erano solo gli esseri umani, ma anche gli animali, le piante, l’ambiente.
Tawantinsuyo era basata su tre punti basilari: l’amore, la ricerca della verità e il rispetto per gli esseri viventi.
Con questi tre principi gli Incas crearono una civiltà che diventò la più grande del Sud America, e che all’arrivo degli spagnoli comprendeva tutta l’estensione oggi occupata da sei Repubbliche: la Colombia, l’Ecuador, il Perù, la Bolivia, il Cile, l’ Argentina, oltre a estendere una sorta di influenza politica anche sul territorio che corrisponde al Venezuela, a Panama, all’ Uruguay e Paraguay (in genere l’acquisizione di nuovi territori avveniva in modo pacifico, per via diplomatica, grazie anche al potere di attrazione di un paese che sapeva offrire benessere e accettazione ai nuovi arrivati).
I capi si chiamavano Incas e l’ élite dirigente Inca-Kuna, che vuol dire figli del Sole. La forma di governo era una democrazia dove il capo non era designato per diritto ereditario, ma veniva eletto da un consiglio di saggi.
La loro civiltà era armoniosa: crescita economica e incremento demografico erano in perfetto equilibrio. La fame era stata debellata su tutto il territorio, e un certo benessere era presente ovunque, grazie a conoscenze agronomiche e tecnologiche sorprendenti (alcuni ingegneri sostengono oggi che, con tecniche come quelle degli incas, il mondo potrebbe nutrire dieci miliardi di persone senza inquinare!). Tutti avevano un tetto, vestiti, cibo, istruzione, pace, un’educazione che valorizzava l’uomo. Non esisteva la proprietà privata e l’ economia era attentamente pianificata. Gli Incas avevano grandi conoscenze matematiche (si servivano di quattro diversi sistemi di calcolo) e idrauliche (la loro rete di canali era riuscita a convertire una terra molto arida e secca in un campo verde e fertilissimo). Conoscevano anche l’ingegneria genetica applicata all’agricoltura e avevano creato nuove specie di semi e piante perfettamente adattate all’ecosistema e in grado di sopravvivere da zero a quattromila metri (un esempio per tutti, le patate). Avevano una banca dei semi straordinaria: basti pensare che esistevano 800 varietà di mais!
Ma il fatto che oggi colpisce maggiormente è il ruolo delle donne, che godevano di indipendenza economica, potevano essere sacerdotesse, capi guerrieri o di governo, oppure diventare professioniste in qualsiasi campo. Il lavoro casalingo era riconosciuto come un importante contributo al benessere collettivo, e retribuito. Nell’elezione del governo avevano diritto di veto: bastava il “No” di una sola donna per fermare una candidatura.
Tutto questo era frutto di un sistema educativo particolare. Così per gli uomini esisteva un istituto che si chiamava Yachaywasi (da Yachariy, il potere dell’ uomo), dove i giovani imparavano la scienza e la tecnologia per risolvere i problemi relativi al mondo esterno: e dunque studiavano agricoltura, arte della guerra, allevamento del bestiame, idraulica, matematica, tecniche per costruire strade, ponti e così via.
E poi c’era un istituto per le donne, Akllawasi (‘la scuola delle prescelte’, da Akllay, ‘il potere della donna’), condotta dalle Mamakuna. Queste donne sagge insegnavano alle donne le “arti verso l’interno” e cioè, sentimento, arte, alimentazione, pedagogia, creatività, etica, religione, sviluppo dell’ intuito, difesa della vita.
Entrambe le istituzioni erano di altissimo livello e complementari, studiate per la specificità dei sessi. Ma nulla impediva, d’altra parte, alle donne che lo desideravano per inclinazione individuale, di frequentare la scuola maschile e viceversa agli uomini di recarsi in quella femminile.

Per gli Incas, il principio maschile aveva un ruolo complementare a quello femminile, il femminile e il maschile si completavano pur nelle loro assolute diversità.
Niente parità o disparità dei sessi, ma ruoli nettamente diversi. Il femminile era la forza trainante per l’uomo: la forza creatrice e generatrice di idee e passioni. Alla donna competeva la spinta evolutiva dell’umanità che l’uomo accoglieva e faceva sua.
Purtroppo questa cultura così sviluppata e pacifica cadde preda di popoli altamente tecnologizzati nell’arte della guerra, ma ignoranti nel campo della conoscenza umana. Colpisce infatti la virulenza degli attacchi e l’efficacia delle azioni repressive. Alcuni studiosi sostengono che alla base vi sia stato un dato religioso: la Chiesa romana voleva la distruzione di una cultura che sosteneva che il primo essere umano apparso sulla terra fosse stata una donna.
La religione cattolica (ma anche quella ebraica e musulmana) dà a Dio attributi mascolini: tra gli Incas si parlava invece della Dea Madre, di Dio Padre, degli Dei Figli. Quando gli Incas venivano a contatto con religioni diverse le rispettavano, perché pensavano che ognuna fosse una strada per la verità: ma non altrettanto riguardo è stato usato verso di loro… E’ anche possibile ipotizzare che la cultura spagnola, profondamente maschilista, non volesse che l’esempio di una civiltà paritaria arrivasse in Europa.
Cosa è sopravvissuto, oggi, di questo magnifico impero? Una grande quantità di conoscenze sono state distrutte: per giustificare il vandalismo, si è cercato di far passare gli Incas come un popolo selvaggio e ignorante. Ma questa bugia storica sta venendo finalmente alla luce: negli ultimi cinquant’anni, grazie all’avanzamento delle discipline etnolinguistiche e al perfezionamento degli strumenti tecnologici usati nella ricerca archeologica (pellicole infrarosse, risonanza magnetica, computer e così via) gli studiosi stanno dimostrando una distorsione intenzionale della verità.
Il ritorno alle origini
Le popolazioni locali oggi conservano, in forma orale, parte dei preziosi insegnamenti dei loro avi, che rischiano però di andare perduti nel conflitto con la cultura dominante: il rispetto della natura, il concetto che il lavoro non è un obbligo, ma un diritto e un favore che si fa a se stessi e al mondo, l’idea che la parola d’onore ha più forza di un contratto scritto, una grande e per noi sorprendente valorizzazione del ruolo della donna (tanto che si ripete che “chi onora la donna, onora Dio”, che “quello che la donna vuole è quello che Dio vuole e dunque per avvicinarsi a Dio l’uomo deve capire la donna” e infine che “i bambini sono Dei, la donna è una semidea e l’uomo è un uomo). La religione stessa si impernia sul concetto della Dea Natura, chiamata anche Pachamama.
Salvare questo patrimonio è difficile, ma importante.
Per questo alcune persone si stanno impegnando per dar vita al sogno di una rinascita della vita femminile in Perù, attraverso la fondazione di una Università della vita e della pace, con una forte impronta femminile: discendente in altre parole, dalla mitica Akllawasi che formava le Mamakuna.
Un istituto del genere darebbe di nuovo a uomini e donne il senso della reciproca dignità, ridurrebbe i margini di ignoranza e di miseria morale e materiale e sopratutto ridarebbe vita a un sapere pieno d’amore, formando professionisti per la pace e la difesa della vita.
Dal canto nostro, dobbiamo riscoprire e utilizzare i poteri che la natura ha donato alle donne, solo così si potrà creare una società in perfetto equilibrio di amore, fratellanza e armonia con la Madre Terra.’
testo di Emma Chiaia | Mamani-Inca