Antiche Conoscenze, Favole di potere, Miti e Leggende, Percorsi Iniziatici, Spazi Sacri, Wild Women

La Loba e il Fiume che scorre sotto il Fiume

di Clarissa Pinkola Estés

C’è una vecchia che vive in un luogo nascosto che tutti conoscono ma pochi hanno visto. Come nelle favole dell’Europa Orientale, pare in attesa di chi si è perduto, di vagabondi e cercatori. È circospetta, spesso pelosa, sempre grassa, e desidera evitare la compagnia. Emette suoni più animaleschi che umani.

Dicono che viva tra putride scarpate di granito nel territorio indiano di Tarahumara. Dicono sia sepolta alla periferia di Phoenix, vicino a un pozzo. Dicono che è stata vista in viaggio verso il Monte Alban (3) su un carro bruciato, con il finestrino posteriore aperto. Sta accanto alla strada poco distante da El Paso, dicono; cavalca impugnando un fucile da caccia insieme ai coltivatori verso Morelia, Messico; l’hanno vista avviarsi al mercato di Oaxaca con strane fascine sulle spalle. Ha molti nomi: La Huersera, La Donna delle Ossa; La Trapera, La Raccoglitrice, La Loba, La Lupa.

L’unica occupazione della Lupa è la raccolta delle ossa. Notoriamente raccoglie e conserva in particolare quelle che corrono il pericolo di andare perdute per il mondo. La sua caverna è piena di ossa delle più varie creature del deserto: il cervo, il crotalo, il corvo. Ma si dice che la sua specialità siano i lupi.

Valentina Benedetti Art

Striscia e setaccia le montagne e i letti prosciugati dei fiumi, alla ricerca di ossa di lupo, e quando ha riunito un intero scheletro, quando l’ultimo osso è al suo posto e la bella scultura bianca della creatura sta davanti a lei, allora siede accanto al fuoco e pensa quale canzone cantare.

E quando è sicura, si leva sulla creatura, solleva su di lei le braccia, e prende a cantare. Allora le costole e le ossa delle gambe cominciano a ricoprirsi di carne e le creature si ricoprono di pelo. La Lupa canta ancora, e quasi tutte le creature tornano in vita, con la coda ispida e forte che si rizza.

E ancora La Loba canta e il lupo comincia a respirare.

E ancora La Loba canta così profondamente che il fondo del deserto si scuote, e mentre lei canta il lupo apre gli occhi, balza in piedi e corre lontano giù per il canyon.

Valentina Benedetti Art

In un momento della corsa, per la velocità della corsa medesima, o perché finisce in un fiume, o perché un raggio di sole o di luna lo colpisce alla schiena, il lupo è d’un tratto trasformato in una donna che ride e corre libera verso l’orizzonte.

Così si dice che se vagate nel deserto, ed è quasi l’ora del tramonto, e vi siete un po’ perduti, e siete stanchi, allora siete fortunati, perché forse La Lupa può prendervi in simpatia e mostrarvi qualcosa – qualcosa dell’anima.

Tutti noi cominciamo come un mucchietto di ossa abbandonato da qualche parte in un deserto, uno scheletro smantellato sotto la sabbia. Sta a noi ricuperare le parti. E’ un processo impegnativo: meglio affrontarlo quando le ombre sono diritte, perché molto bisogna guardare. La Lupa indica in che cosa dobbiamo cercare la forza vitale indistruttibile, le ossa.

Questo cuento milagro ci mostra che cosa può andar bene per l’anima. E’ una storia di resurrezione, sul collegamento sotterraneo con la Donna Selvaggia. Promette che se canteremo la canzone, potremo richiamare i resti psichici dell’anima della Donna Selvaggia e cantarla in una rinnovata forma vitale.

Nel racconto, La Lupa canta sulle ossa che ha riunito. Cantare significa usare la voce dell’anima. Significa dire nel respiro la verità del proprio potere e del proprio bisogno, soffiare l’anima nella cosa che soffre o ha bisogno di reintegrarsi. Si fa discendendo nel più profondo umore dell’amore grande e del sentimento, finché il desiderio di una relazione con l’Io selvaggio straripa, fino a esprimere l’anima da questa struttura mentale. Questo è cantare sulle ossa. Non possiamo commettere l’errore di cercar di scoprire questo grande sentimento di amore da un amante perché questa fatica delle donne di trovare e cantare l’inno della creazione è un lavoro solitario, un lavoro che si svolge nel deserto della psiche.

Consideriamo La Lupa. Il Simbolo della Vecchia è una della personificazioni archetipe più diffuse nel mondo. Altre sono la Grande Madre e il Grande Padre, il Fanciullo Divino, il Briccone, la Strega e lo Stregone, la Fanciulla e il Giovane, la Guerriera-Eroina, e la Pazza e il Pazzo. Eppure nella sua essenza e nel suo effetto La Lupa è ben diversa, perché è la radice che alimenta un intero sistema istintuale.

Nel Sud-est è pure nota come La Que Sabé, Colei che Sa. Di lei sentii parlare per la prima volta quando vivevo nelle montagne del Sangre de Cristo, nel Nuovo Messico, sotto il cuore del Lobo Peak. Una vecchia strega dei Ranchos mi disse che La Que Sabé sapeva tutto sulle donne, le aveva create da una piega sulla pianta del suo piede divino. Ecco perché le donne sono creature che sanno; sono fatte della pelle della pianta del piede, che sente tutto. Quest’idea della pelle del piede sensibile suonava vera, perché una donna acculturata della tribù Kiché mi disse una volta che aveva indossato il primo paio di scarpe a vent’anni, e ancora non si era abituata a camminare con los ojos vendados, con gli occhi bendati.

Questa Donna-Lupa, questa Donna Selvaggia che vive nel deserto, è stata chiamata con molti nomi e attraversa in lungo e in largo tutte le nazioni nei secoli dei secoli. Ecco alcuni dei suoi antichi nomi: La Madre dei Giorni è la Madre-Creatore-Dio di tutti gli esseri e gli eventi, compresi il cielo e la terra; Madre Nyx domina su tutte le cose che vengono dal fango e dall’oscurità; Durga controlla i cieli e i venti e i pensieri degli esseri umani da cui emana ogni realtà; Coatlique dà vita all’universo infante che è furfantesco e difficile da controllare, ma come una madre lupa morde l’orecchio del cucciolo per trattenerlo; Ecate, la vecchia veggente che “conosce la sua gente” e ha in sé l’odore dell’humus e il respiro di Dio. E ce ne sono molte altre ancora. Sono le immagini di chi e che cosa vive sotto la collina, lontano nel deserto, nelle profondità.

Nei miti e con qualunque nome, La Loba conosce il passato personale e l’antico, perché è sopravvissuta generazione dopo generazione, ed è vecchia al di là del tempo. E’ l’archivista della concezione femminile. Conserva la tradizione femminile. Le sue vibrisse sentono il futuro; ha l’occhio latteo lungimirante della vecchia rugosa; vive simultaneamente indietro e avanti nel tempo, ne corregge uno danzando con l’altro.

La Loba, la vecchia, Colei che Sa, è dentro di noi. Fiorisce nel più profondo della psiche-anima delle donne, l’antica e vitale Donna Selvaggia. La storia ne descrive la casa come quel posto nel tempo in cui lo spirito delle donne e lo spirito della lupa si incontrano, il posto in cui la sua mente e i suoi istinti si mescolano dove la vita profonda della donna fonda la sua vita mondana. E il punto in cui l’Io e il Tu si baciano, il luogo in cui le donne corrono con i lupi.

Questa vecchia sta tra il mondo della razionalizzazione e quello dei miti. E’ la falange su cui questi due mondi girano. Questo territorio tra i due mondi è quel luogo inesplicabile che noi tutti riconosciamo quando l’abbiamo sperimentato, ma le sue sfumature sfuggono e cambiano di forma se cerchiamo di fissarle con uno spillo, almeno quando non ricorriamo alla poesia, alla musica, alla danza… o alle storie.

Si specula sulla probabilità che il sistema immunitario dell’organismo sia radicato in questo misterioso territorio psichico, anche quello mistico, insieme alle immagini archetipe e ai bisogni, compresa la fame di Dio, il nostro struggimento per i misteri, e tutti gli istinti sacri e profani. Alcuni direbbero che sono qui anche la documentazione sull’umanità, la radice della luce, le spire dell’oscurità. Non è un vuoto ma piuttosto il posto degli Esseri di Bruma, dove le cose sono eppure ancora non sono, dove le ombre hanno una sostanza e la sostanza è sottile.

Di questo territorio una cosa è certa: è antico… più antico degli oceani. Come La Loba, non ha età. L’archetipo della Donna Selvaggia fonda questo strato, emana la psiche istintuale. Se può assumere vari aspetti nei nostri sogni e nelle esperienze creative, non viene dallo strato della madre, della fanciulla, della donna mediale, e non è il fanciullino che è in noi. Chiamatela La Que Sabé, chiamatela la Donna Selvaggia, chiamatela La Loba, o con gli altri suoi nomi nobili o oscuri, con i suoi nomi più recenti con gli antichi nomi: lei resta quel che è.

La Donna Selvaggia in quanto archetipo è una forza ineffabile indomita che porta un dono di idee, immagini e particolarità all’umanità. L’archetipo esiste ovunque, e tuttavia non si può vedere nel senso usuale. Quel che di esso si può vedere nell’oscurità non è visibile nella luce del giorno.

Troviamo una prova costante dell’archetipo nelle immagini nei simboli delle storie, della letteratura, della poesia, della pittura e della religione. Si direbbe che il suo splendore, la sua voce la sua fragranza hanno il fine di farci levare lo sguardo dallo schifo che abbiamo sulla coda, per viaggiare occasionalmente in compagnia delle stelle.

Nel posto della Lupa, il corpo fisico è, come scrive il poeta Tony Moffeir, “un animale luminoso”, (4) e il sistema immunitario pare rafforzato o indebolito dal pensiero consapevole. Nel posto della Lupa, gli spiriti si manifestano come personaggi, e La Voce Mitologica della psiche profonda parla come poeta e come oracolo. Le cose di valore psichico, se morte, possono essere resuscitate. Inoltre, il materiale di base di tutte le storie esistenti nel mondo cominciò con l’esperienza di qualcuno qui, nell’inesplicabile territorio psichico, e con il tentativo di qualcuno di raccontare quanto gli è accaduto.

Ci sono vari nomi per questo luogo tra i mondi. Jung variamente lo chiamava l’inconscio collettivo, la psiche oggettiva, l’inconscio psicoide (con riferimento a uno strato più ineffabile del precedente). Considerava l’inconscio psicoide un luogo in cui il mondo biologico e quello psicologico spartiscono i corsi superiori delle acque, dove biologia e psicologia potrebbero mescolarsi e influenzarsi reciprocamente.

Nella memoria umana questo luogo, che lo si chiami Nod, la dimora degli Esseri di Bruma o la spaccatura tra i mondi, è il luogo delle visitazioni, dei miracoli, delle fantasie, delle ispirazioni e delle guarigioni.

Richard Avedon Photography

Sebbene il luogo trasmetta grande ricchezza psichica, va avvicinato con una certa preparazione, poiché si può cedere alla tentazione di naufragare gioiosamente nell’estasi del proprio tempo qual è là.

A paragone la realtà consensuale può apparire meno eccitante. In tal senso, questi strati più profondi della psiche diventano una trappola dell’estasi da cui si torna vacillanti, con idee vaghe e vaghi presentimenti. Non va inteso così. Si dovrebbe ritornare completamente purificati e immersi in un’acqua vivificante e informante, qualcosa che imprime sulla nostra carne il profumo del sacro.

Ogni donna ha potenzialmente accesso al Rio Abajo Rio, il fiume che scorre sotto al fiume. Vi arriva con la meditazione profonda, la danza, la scrittura, la pittura, la preghiera, il canto, il suono del tamburo, l’immaginazione attiva o qualsiasi attività richieda un’intensa consapevolezza alterata.

La donna arriva a questo mondo-tra-i-mondi con il desiderio struggente, e cercando qualcosa che può vedere appena con la coda dell’occhio. Vi arriva con atti profondamente creativi, con la solitudine intenzionale, con la pratica delle arti. E anche con queste pratiche elaborate molto di quanto accade in questo mondo ineffabile resta per sempre misterioso, perché spezza le leggi fisiche e razionali quali noi le conosciamo.

(3) Vecchio Messico.
(4) Dalla raccolta “Luminous Animal” del poeta-blues Tony Moffeit (Cherry Valley Editions, New York 1989).

[Tratto dal libro ‘Donne che corrono coi Lupi‘]

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