di Elena Cerasetti
Noi donne siamo per natura incapaci di buone azioni, ma sapientissime artefici di ogni male.
medea, euripide
Chi è Medea?
Regina della Colchide, sorella di Circe e Angizia (diffusa quest’ultima in Abruzzo), Medea è divinità talmente arcaica che persino il cantore Omero la definisce antica.
Il nome di Medea scritto risale al III secolo a.C. ed è legato alla saga degli Argonauti e alla conquista del Vello d’Oro, i primi movimenti conquistatori del patriarcale popolo acheo (‘Argonautiche‘, Apollonio Rodio).
Ma è nella primavera del 431 a.C. che tutto accade.
Siamo ad Atene, è in corso l’agone tragico delle grandi Dionisie.
Vince Euforione, un figlio d’arte, il figlio di Eschilo.
Il secondo è Sofocle.
Il terzo e ultimo è Euripide, che ha presentato una trilogia che include Medea. E’ Euripide a distorcere il mito di Medea e ribaltarne completamente e per sempre la storia.
Euripide racconta Medea come la barbara, la strega, la furiosa che uccide i propri figli. Secondo Euripide, Medea diventa assassina e infanticida perché tradita dal marito Giasone che vuole lasciarla per sposare Glauce, figlia del re di Corinto.
E siccome nell’antica grecia patriarcale la donna è proprietà dell’uomo, l’abbandono del letto significa la perdita di tutto. Allora Medea gelosa e cornuta uccide Glauce e il padre di lei, ma anche i suoi propri figli.
Ma Medea non uccide Glauce.
Medea non uccide i propri figli, anzi.
Secondo una versione pre-euripidea del mito, i corinzi ritengono Medea responsabile della peste che ha colpito la città. Sono i corinzi a lapidare i bambini perché infuriati con Medea. Poi corrompono Euripide con quindici talenti d’argento perché li assolva da ogni colpa. Così la nuova Medea uccide i propri figli per infliggere a Giasone l’estremo dolore e tale versione dei fatti è “tutta la scrittura che ne segue”.
Da Euripide a Seneca financo a Pasolini, Medea si muove sulla falsa riga di Euripide. Essa è rappresentata come demone furente. Ma ad attingere le origini del mito dalle sorgenti pre-euripidee si scopre che Medea non ha tratto demoniaco o almeno non solo. Medea non è una strega, o almeno non secondo l’accezione greco-giudaico-cristiana.
Medea è una femmina che possiede la conoscenza della natura e il bagaglio della società matriarcale da cui proviene. Medea è una donna libera e orgogliosa, Medea è una delle tante manifestazioni ctonie della Dea Madre. E i corinzi la temono perché Medea mette in crisi le loro credenze.
Chi è Medea
Medea è una dea proveniente dalla società matriarcale e demonizzata dalla società patriarcale. Medea è, come molte divinità femminili, una dea madre degradata e trasferita tra i mortali come guaritrice che esercita arti benefiche.
Il nome Medea deriva dal verbo greco medos, “pensiero” e Médomai, che a sua volta deriva dalla radice indoeuropea medhâ, “mente”, “sapienza”, con il senso di “intendere”, “conoscere”, “sapere” e anche “medicare“, “curare”.
Medea è donna di medicina, Medea è colei che dà buoni consigli, Medea è colei che conosce e cura, colei che medica e guarisce.
Euripide che associa il nome Medea al demone furente è l’esempio del sovvertimento dei valori durante l’istaurazione delle società patriarcali arcaiche. Quando i greci conquistano le terre attorno al mediterraneo, si impossessano anche dei loro miti e li riplasmano a loro uso, conservandoli nella storia della loro gerarchia sociale.
Così Medea riscritta dal patriarcato da divinità potente e benefica diventa simbolo del male e della follia.
Come prima maga a eseguire rituali in Tessaglia, Medea è la figura fondamentale dietro la regione conosciuta come “la terra delle streghe”. Il suo mito suggerisce che ha introdotto la conoscenza erboristica della donna dall’Asia Minore in Grecia.
Nel mito successivo Medea è solitamente ricordata, non come l’abile guaritrice, ma come una partner vendicativa e disprezzata, una donna presa nella morsa della gelosia per la quale non aveva antidoto. Nel periodo classico i drammaturghi raffigurano Medea consumata dalla rabbia, che uccide i propri figli per vendicare l’infedeltà di Giasone.
Tuttavia, Medea è più un promemoria del grande rispetto e della conoscenza della guarigione, delle erbe e della magia che è stata portata in Occidente e poi sottilmente ignorata e infine demonizzata. Alla base del mito ci sono frammenti di una tradizione più antica. Il nome di Giasone significa “guaritore” e la sua collaborazione con Medea completa i vecchi modi di guarigione prima dell’emergere della medicina razionale e della demonizzazione della magia.
Medea ci ricorda di onorare l’antica usanza di relazionarsi con il mondo vegetale, la saggezza della natura e le potenti proprietà curative e trasformanti incorporate nel mondo naturale. Istintivamente la strega è l’impulso che ci attira a rimedi e pozioni al momento giusto ed è l’impulso a creare rituali e cerimonie per evocare i poteri della dea.
testo è tratto da “The Goddess Report” di Brian Clark & Stephanie Johnson
Le donne sono tutte puttane, tranne mia madre.
Perché? Perché mentre Euripide scrive le sue tragedie, Atene sta vivendo la sua stagione più felice dal punto di vista filosofico. Non solo per personaggi come Socrate e Platone, ma soprattutto per i sofisti. Euripide rappresenta la fine dell’equilibrio fra apollineo e dionisiaco e dichiara la sua appartenenza al logos dei sofisti. Un logos trascendente, atemporale, immutabile.
Quindi, in uno spazio e in un tempo ben precisi la Grande Madre è detronizzata, la genealogia femminile interrotta e l’ordine simbolico patriarcale trionfante.
La femmina diviene l’altra dal maschio e occupa i luoghi che le vengono assegnati, riconducibili ai due principali intramontabili stereotipi: la madre/moglie e la prostituta. Tutto diviene faccenda da e per soli uomini. Il presunto padre espropria la potenza materna per annullare ogni traccia di nascita uterina e mette al mondo il (suo) mondo.
Una volta rapinato e rinnegato, il corpo femminile è occultato. La legge del padre stabilisce con precisione ruolo, senso e posizione all’interno del suo ordine. E cancella tutti i significati adiacenti, tutte le risonanze, tutte le oscillazioni di cui si alimentano i miti, i simboli, i sogni, le visioni.
La corporeità, la comunità di sangue, la generazione materna sono elementi che attingono a quello sfondo protoumano umido e oscuro che l’uomo, non potendo eliminare, ha espulso in quanto deinón, spaesante.
Medea rappresenta una figura tramite, la testimone del matriarcato che tramonta ed è deprezzato dal patriarcato.
Perché? Per procreare senza passare dal corpo materno. Non a caso Giasone dice “I mortali dovrebbero poter generare i figli in altro modo e la razza femminile non dovrebbe esistere. così per gli uomini non ci sarebbe più alcun male.” (Medea, Euripide).
Ciò che Euripide mostra è quindi la paura della diversità, l’invidia della potenza generatrice del corpo femminile e il desiderio del suo controllo. Medea è proiezione delle paure maschili e perciò straniera. Essa diviene altra da sé, una barbara, una folle, un’isterica, un’assassina. Anzi, un’infanticida.
Non solo. Medea è la femmina che si infiamma d’amore per l’eroe, che segue l’eroe tradendo la sua stirpe, che usa la sua magia a vantaggio dell’eroe. Medea è una femmina gelosa della rivale così la elimina con l’inganno (tanto caro a Ulisse), proprio lei che come regina matriarcale non conosce monogamia né gelosia. Medea uccide i figli perché, in assenza del padre, i figli non hanno più ragione di esistere.
Medea è infine costretta a mettersi addosso i giudizi misogini degli uomini e la posizione che essi hanno stabilito per le donne: “Noi donne siamo per natura incapaci di buone azioni, ma sapientissime artefici di ogni male.” (Medea, Euripide).
Il diavolo perfetto.