Antiche Conoscenze, Percorsi Iniziatici, Sacred Feminine, Sciamanesimo, Wild Women

Il Sentiero delle Ossa

Morire non è nulla; non vivere è spaventoso.
– Victor Hugo

Perché iniziare questo articolo parlando del “morire”?
Perché il Sentiero delle Ossa è la strada che Filosofia, Favole ed esoterismo (compresi alcuni sistemi simbolici come i Tarocchi) insegnano per vivere veramente. E’ il viaggio dell’Anima Selvaggia, così come racconta anche Clarissa Pinkola Estés.
Ed è un sentiero che passa attraverso la comprensione di uno dei nostri più grandi tabù: la Morte.

Ma al di là del Tabù e di tutta la conoscenza “culturale” che ne abbiamo, il concetto della “Morte” è qualcosa di molto profondo, che porta con sé, da antichità ancestrali, profondi insegnamenti, che abbiamo chiamato “il Sentiero delle Ossa”.
Scopri dove conduce questo sentiero…

Che cosa sono “le Ossa”?

La prima volta che ho incontrato questa terminologia è stato durante la lettura – assai appassionata – di “Donne che corrono coi Lupi”, di Clarissa Pinkola Estés. Un libro meraviglioso, che affronta le favole come cammino iniziatico, al femminile, per il recupero della Donna Selvaggia.

Il cammino del recupero del Selvaggio avviene, secondo la Estés, solo grazie al recupero delle Ossa, ovvero delle antiche tradizioni, che contengono ancora tutta la “magia del femminile” (e non solo ndr).

Ma… che cosa significa “recuperare le Ossa”? E come si fa?

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Abbiamo già detto che le “ossa” sono le antiche tradizioni, quelle della Loba (la Donna-Lupo), ad esempio, o di La Que Sabe (Colei che Sa).

La tradizione antica (del femminile) contiene le informazioni dei poteri di tutte le sacerdotesse, le curandere e le sciamane che hanno costellato le notti dell’umanità, dagli albori della nascita dell’uomo, non solo quando ancora vigevano società matriarcali, ma anche in periodi storici meno disponibili al confronto con questa profonda cultura (ad esempio le sfortunate streghe che andarono sui roghi dell’Inquisizione).
Si tratta ogni volta di Dee, di Grandi Madri (le Madri che troviamo anche nel Faust) che hanno saputo accogliere e nutrire fin dalle radici profonde, fin dalle oscurità delle notti prima della vita, la Vita stessa.

Recuperare questa antica tradizione significa inserirsi nel Cammino della Dea, come Thonban Hla, significa riappropriarsi di tutti i caratteri del femminile, all’ennesima potenza, e manifestare questo potere nel mondo.

Ma come è possibile tutto ciò? Scopriamolo, conoscendo “la Morte”…

Le Ossa e la Morte: l’Arcano Senza Nome

Perché parlare anche della Morte? Come si collega alle Ossa?
Di certo il più rapido collegamento lo facciamo grazie al nostro immaginario, laddove “la Morte” viene raffigurata con le sembianze di uno scheletro, vestito di un mantello nero, con in mano una falce.

Una delle sue raffigurazioni più emblematiche è sicuramente quella rappresentata dall’ Arcano Senza Nome dei Tarocchi.
Anche qui l’immagine mette in evidenza la sua natura: lo scheletro, le Ossa; e le sue peculiari funzioni all’interno del grande sistema-Universo: taglia ciò che è di troppo.

La Natura non conosce “giusto o sbagliato” e predispone sempre il meglio per il suo carattere “generativo” (natura naturans). Tra queste disposizioni, che sono i cicli delle stagioni e del giorno con la notte, c’è anche la ciclicità Vita/Morte/Vita.

Questo ci permette di rivalutare “la Morte” come parte di un processo più vasto, chiamato “Vita”.
Un po’ – insomma – come cercava di insegnare la filosofia antica, quando essa stessa veniva professata come fosse “un imparare a morire”.

Ma che cosa vuol dire “morire”?

Ad oggi potremmo rivalutare questo concetto in molti modi: ad esempio in un sistema che voglia dirsi “zen” o nell’ottica di un lean management potremmo dire che le Ossa sono la capacità di distinguere “il minimo necessario alla Vita”, in un’ottica ecologica significa pensare in senso sistemico, e via dicendo.

Ma il punto di vista che maggiormente ci interessa è quello esoterico ed iniziatico, quello che viene tramandato dalle Favole e dal Mito, laddove “la Morte” è sempre presente nella sua funzione più segreta: il rito di passaggio.

Imparare a Morire, per imparare a Vivere

Forse le figure che più di altre riassumono questo “viaggio” sono Dante, con il suo percorso che comincia dagli inferi, Orfeo, che compie il viaggio nell’Ade per recuperare l’amata Euridice, e soprattutto Persefone, sposa dello stesso dio Ade.

Come il mito di Persefone dà il via alle stagioni, così il rito di passaggio che la Natura dispone è quello del bozzolo che diviene farfalla, è quello di una trasformazione profonda e continua, di un “viaggio agli inferi”, laddove anche Goethe lascia intendere siano “le Madri”, per recuperare la Vita.
Perché il mondo infero è il centro della Terra, il suo grembo, luogo da sempre sacro alla Dea, alla Grande Madre, luogo del cuore, del pulsare, del caos primigenio, che genera Vita.

E Vita/Morte/Vita è il processo che una donna deve imparare a conoscere e coltivare, il processo legato alla ciclicità della Natura, fondamento di ogni suo potere.

L’archetipo della forza Vita/Morte/Vita è grossolanamente frainteso in molte culture moderne. Alcuni non comprendono più che Signora Morte rappresenta un modello essenziale di creazione, e che la vita si rinnoverà per le sue cure.
– Clarissa Pinkola Estès

Come direbbe Hillman, la “Grande Assente” nella nostra cultura è proprio la Morte, la nostra più potente alleata, l’unica che ci ricorda, istante per istante, la Bellezza della Vita – come insegna il Don Juan di Carlos Castaneda – nella sua interezza: il visibile e l’invisibile, il giorno e la notte, la Vita/Morte/Vita

di Matteo Ficara | Fonte



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