Nu Shu. Le origini di questo linguaggio segreto sono nella provincia dello Hunan, e la sua nascita è strettamente connessa alla particolarità degli usi e costumi locali, una miscela di quelli dei Cinesi Han e di quelli dei gruppi etnici Yao, in cui era forte l’influenza matriarcale.
Hunan è una provincia della Cina, situata a metà del corso del fiume Yangtze e a sud del lago Dongting , da cui il nome Hunan, che significa “a sud del lago”. In confronto alle donne di altre zone della in Cina, quelle dello Hunan sono state fortunate per avere vissuto in un ambiente particolarmente favorevole. La regione è calda, il terreno fertile, l’acqua abbondante. Non è stato necessario per le donne collaborare al lavoro agricolo, in quanto il lavoro degli uomini era in generale sufficiente e i raccolti delle colture abbondanti.
Le donne, in questo contesto, si dedicavano alle arti e ai mestieri tessili come filatura, tessitura e cucito di stoffa e ricami. Con gli uomini spesso fuori casa per lavorare nei i campi, le donne si riunivano per coltivare la poesia e il canto, e recitavano o cantavano delle loro pene e delle loro gioie.
Inoltre, era molto popolare tra le ragazze un costume chiamato jiebai zimei, “sorellanza”, diventavano cioè “sorelle giurate”, un legame spesso più forte di quello di sangue.
Quando per le ragazze arrivava l’età giusta si sposavano, ed erano costrette ad andare ad abitare nelle case di uomini che spesso non avevano mai visto prima. E la vita di una donna sposata in una casa estranea era molto difficile.
Ancora, ciò che era ancora più insopportabile per le giovani donne era il doversi separare dalle loro jiebai zimei.
In una società fortemente votata al maschilismo, in cui l’uomo deteneva tutto il potere (lavoro, famiglia, pubblica amministrazione) si sviluppò un linguaggio segreto delle donne, detto appunto Nu Shu, che diventò uno spazio intimo e riservato al mondo femmininile, ignorato e trascurato dagli uomini, e gelosamente custodito dalle donne in questa speciale ‘sorellanza’.
In quell’epoca così lontana, oppressiva, le donne apparentemente erano prive di qualsiasi diritto, in balia del volere dei padri e dei mariti. In questo clima il Nu Shu, un linguaggio strettamente riservato alle donne e tramandato di madre in figlia, rappresentava un modo di difendersi dagli uomini e dava un senso alla vita stessa.
Furono le donne analfabete e senza educazione formale a inventare questo originale e unico sistema di scrittura, che mantenne il suo segreto per secoli grazie proprio alla discriminazione di cui le donne erano oggetto quotidianamente, in quanto considerate esseri inferiori, che servivano solo per la procreazione e per soddisfare i desideri degli uomini. Per contrasto le donne che conoscevano il Nu Shu chiamavano la scrittura cinese “Nan Shu“, cioè scrittura dei maschi.
Il linguaggio segreto delle donne portava alla formazione di una sub-cultura strettamente femminile: il Nu Shu trovava espressione nella vita quotidiana delle donne, veniva letto con una speciale forma di canto, durante le riunioni di donne in cucina e mentre ricamavano.
Il Nu Shu aveva la funzione di rinforzare la sorellanza tra le donne unite nella stessa sorte, e di trasformare la vita quotidiana in una sorta di fuga colorata e profumata contrapposta al grigiore e all’odore pestilente di un quotidiano, altrimenti, insopportabile. Le parole segrete liberavano emozioni profonde e rivelavano il risentimento nei confronti della dominanza maschile e la malinconia di tutti i giorni.
Il Nu Shu fu ignorato per secoli, e solo negli anni 50 in Cina si prestò grande attenzione ad esso: si temeva che si trattasse di un codice segreto per lo spionaggio internazionale e ciò spinse i servizi segreti ad indagare, suscitando un grande interesse che coinvolse le migliori accademie del paese. Furono consultati i migliori linguisti ma nessuno degli esperti fu in grado di decifrare il Nu Shu.
Solo negli anni ’80 il sistema di scrittura fu riconosciuto come Nu Shu, che significa, per l’appunto, “scrittura delle donne”. Questa scrittura è composta da 7.000 caratteri e si differenzia molto dalla scrittura cinese i cui caratteri sono di forma quadrata, con linee dritte. Il Nu Shu è, invece, scritto con forme curvilinee e le donne spesso ricamavano i caratteri Nu Shu sui vestiti come se fossero dei disegni.
Poco tempo fa, con la scomparsa di Yang Huanyi, a 92 anni, si pensava perduto per sempre questo antico linguaggio.
Yang era infatti l’ultima depositaria dei segreti di questa scrittura, insegnatale dalla madre. E invece, grazie al lavoro meticoloso di ricerca e trascrizione di un gruppo di donne proprio dello Hunan, non solo si sono recuperati i 2800 ideogrammi della lingua, ma si sono tradotti interi volumi.
Per la prima volta i “libri del terzo giorno”, cioè i libri segretissimi che le compagne regalavano ad una donna quando era costretta a sposarsi, vedono la luce delle librerie e incontrano la commozione delle donne moderne.
Ricchi di poesie, canzoni, pensieri, questi libri tessuti e ricamati a mano, nascevano per consolare la sposa nel momento in cui, a tre giorni dal matrimonio, doveva definitivamente lasciare la famiglia d’origine e il paese natio. Libri che in qualche modo dovevano curare la solitudine di queste nuove mogli, così poco considerate, in quanto femmine, così poco amate per la loro presunta “inferiorità”.
Un antico detto cinese dice: “Davanti ad un pozzo non si muore di sete. Quando si è con le sorelle non c’è posto per la disperazione”. E infatti, in un tempo non troppo lontano, in cui le donne si sposavano contro la propria volontà, e venivano allevate coi piedi fasciati per essere più “graziose” (non riuscendo a camminare senza appoggiarsi a qualcuno!) l’amicizia tra donne era il bene più prezioso.
Tra donne ci si incontrava per lavorare, tessere, cantare, allevare i figli. Per farsi quelle confidenze che i mariti maschilisti non tolleravano e che quindi finivano nei diari segreti di Nu-Shu.
Paradossalmente, se in passato questa lingua è stata praticata dalle donne più povere e maltrattate, le analfabete, le concubine, le bambine a cui veniva proibito di imparare a parlare perché non potessero poi esprimere le loro emozioni, oggi sono le signore di classe ad avere il tempo di imparare questa nuova lingua per utilizzarla poi con le amiche nei loro eleganti salotti.
La scuola appena nata, rigorosamente femminile, per apprendere l’antico linguaggio è frequentata da bambine di livello sociale alto, che seguono i corsi come fossero un nuovo hobby d’elite.
Allo scopo è stato stampato il primo dizionario Nu-shu e sono state tradotte molte lettere scritte in forma poetica, dal contenuto struggente, se si pensa che erano l’unico modo delle donne per sfogare la malinconia, la tristezza, che regnava nelle loro vite.
Curioso il fatto che non avessero neppure bisogno di nascondersi quando scrivevano, perché ai loro uomini non interessava minimamente sapere cosa attraversasse la mente, o il cuore, delle donne che sposavano esclusivamente per fare figli e avere in casa domestiche ubbidienti e non pagate. Cosa potevano scrivere di interessante sui quei quaderni che spesso si portavano nella tomba o lasciavano in eredità alle figlie, quelle piccole femmine, se un antico proverbio dell’imperialismo cinese così recitava: “…meglio avere un cane che una figlia…”?
E poi i caratteri del nuovo alfabeto venivano spesso scambiato per dei piccoli disegni; a differenza degli ideogrammi cinesi molto squadrati, era infatti formato da tratti sinuosi e curvilinei, così aggraziati che a volte venivano ricamati sugli abiti, per comunicare messaggi che gli uomini non potevano interpretare.
Solo negli anni ’50, e per motivi politici, i servizi segreti cinesi si interessarono a questo linguaggio, immaginando le donne che lo utilizzavano come spie al servizio dei paesi occidentali. Con grande scalpore raccolsero diversi materiali e li diedero da tradurre ai migliori linguisti del paese, ma non ottennero nulla. Nessun uomo fu mai in grado di decifrare l’antico alfabeto.
Ci vollero decenni per arrivare alla verità, e all’ultima depositaria del segreto: Yang Huanyi. Solo grazie a lei il velo fu finalmente sollevato, sui 7000 caratteri che compongono il Nu-Shu ma soprattutto su un intero mondo femminile, salvato in extremis dall’oblio.
Come avevano fatto le ragazze a perdere le storie?
Normalmente le avrebbero imparate al fiume, dove le donne del villaggio di tutte le età lavavano i panni insieme. Adesso che le loro terre erano state confiscate e i loro villaggi rasi al suolo, adesso che gli abitanti erano stati deportati in città, ogni appartamento cittadino aveva un piccolo lavatoio. Era lì che le donne avrebbero fatto il bucato per la famiglia da allora in poi. Non c’era nessun fiume nei progetti.
Niente fiume, niente luogo di ritrovo. Niente luogo di ritrovo: niente storie.
Eppure, da tempo immemore, per le anime non più capaci o impossibilitate a vivere la vita del villaggio nella sua interezza, è stato sbalorditivo come, con assoluta dedizione, queste persone abbiano trovato altri modi per “scavare” fiumi psichici dovunque si trovino, così che le storie possano ancora fluire liberamente. Il bisogno di storie- per generare rapporti e creatività e per accrescere le anime di tutti- non finisce mai. Questa spinta misteriosa a cercare il soccorso delle storie rimane, anche nel bel mezzo della crisi. Quelle che un tempo erano donne di campagna e che adesso vivevano nella grande città non avevano più il fiume del villaggio, perciò iniziarono a radunarsi in cerchio nella casetta della più anziana. Il suo soggiorno divenne il fiume. Le donne anziane sparsero la voce che tutte le altre dovevano portare lì le loro figlie; che avrebbero confezionato per loro vestiti moderni, come quelli esposti nelle vetrine dei negozi. Così le abili sarte anziane cucivano e parlavano, raccontavano le storie antiche di amore, vita e morte; e le ragazze gioendo per gli abiti nuovi e piene di gratitudine per le mani che li avevano confezionati, imparavano, finalmente, le storie di cui avevano bisogno. Era un fiume diverso rispetto a prima, è vero. Ma le donne sapevano ancora dov’erano le sorgenti del cuore. Il fiume che scorreva nei loro cuori, unendoli, era ancora profondo e chiaro com’era stato un tempo.– Clarissa Pinkola Estés, ‘I desideri dell’anima‘
Fonti: pazzoconte.blogspot.com
www.paginaq.it
www.associna.com
cinaedintorni.wordpress.com
Ciao, attenzione, non è mai stato un linguaggio segreto il nüshu, questo è molto importante sottolinearlo ☺️ I caratteri inoltre sono 396 secondo le ultime ricerche condotte dalla studiosa Zhao Liming.
Spero che queste informazioni possano esserti utili, ciao Un saluto
Giulia Falcini