Il principio del lasciare andare sembra così ovvio, se letto sulla pagina di un libro, ma nella vita di tutti i giorni non è poi così scontato. Basta osservare quante persone – noi stessi per primi? – impiegano anni a lasciare andare gli esiti di una relazione finita male, o a elaborare un lutto o un fallimento.
Dobbiamo essere onesti con noi stessi, senza ignorare la resistenza a cambiare che ci portiamo appresso. Nella nostra vita, peraltro, la riluttanza a lasciare andare non è l’unica forma di trasformazione che genera ostacoli e resistenze. Muoversi da solide certezze verso zone inesplorate spaventa sempre. Per raggiungere un luogo sconosciuto, sia fisico che interiore, dobbiamo intraprendere vie nuove e mai percorse; analogamente, per raggiungere il livello di consapevolezza e benessere auspicato, bisogna scegliere nuove convinzioni e comportamenti mai sperimentati prima. E tutto questo ci può apparire minaccioso o, quantomeno, scomodo.
In genere, quindi, conserviamo gelosamente tutto ciò che fa parte del passato, anche le ferite più profonde, quelle che ci hanno fatto veramente male, pur di rimanere sulla via già tracciata. Il processo di rinnovamento che intraprenderemo, dunque, potrebbe riguardare aree molto sensibili e può definirsi un’impresa piuttosto impegnativa.
Non a caso, la condizione di transizione da un vecchio schema di vita a uno nuovo – in cui si inserisce a pieno diritto il lasciare andare – si definisce crisi (dal greco krisis, «scelta, decisione», e dal verbo krino, «distinguere, giudicare»). Dobbiamo mettere in conto che in questa fase crolleranno delle certezze e, fintante che non ne avremo costruite di nuove, sarà probabile che le nostre fondamenta vacillino, generando in noi uno stato di ansia apparentemente incomprensibile.
Le resistenze possono essere tante, perché in questo campo siamo molto creativi, ricordiamoci però che siamo noi, e soltanto noi, a decidere cosa pensare, e siamo sempre noi a interpretare le sollecitazioni dell’ambiente che ci circonda. Se vogliamo che qualcosa muti, dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare e il nostro modo di essere, assumendoci la responsabilità dei nostri pensieri e delle nostre azioni e di ciò che ne risulta.
Non si tratta di una gara, non dobbiamo arrivare primi, né serve snaturarsi, diventando qualcosa che non siamo: stiamo solo tornando a casa, ricominciando a essere pienamente noi stessi. Il cambiamento è lo strumento che ci consente di tornare a essere il miracolo che siamo, a manifestare tutti i nostri infiniti talenti e capacità, senza disperderci in inutili sprechi.
Per farlo, cominciamo a vedere sempre le cose da un altro punto di vista, quello energetico. Qualsiasi cosa.
In questo viaggio è molto importante cercare di restare il più possibile centrati, accettando e favorendo questa crisi di cambiamento che ci porterà verso il nuovo, monitorandola, assecondandola e guidandola fino a uscirne rafforzati e diversi. Se rifiutiamo di affrontarla, la tensione aumenterà e si prolungherà nel tempo il senso di precarietà e di disagio.
Occorre un ascolto più attento della nostra comunicazione interna, e ciò significa osservare le nostre percezioni, analizzando le convinzioni che ci muovono e ascoltando le definizioni con cui descriviamo noi stessi e la realtà che ci circonda. Quando ci accorgiamo che alcune di queste idee ci frenano, poiché proviamo una specie di attaccamento per esse, ricordiamoci che la scelta è obbligata: dobbiamo cambiarle.
Accettiamo di essere i creatori della nostra vita riconoscendo il potere di realizzarla al meglio per noi. E, soprattutto, facciamolo concretamente, perché la sola consapevolezza non basta, bisogna agire!
Non dimentichiamo poi che, nel processo di lasciare andare, avremo paura. In certi momenti ci sembrerà un cammino in salita, e dubiteremo di riuscire a percorrerlo. E se valga davvero la pena cambiare e intraprendere quel viaggio verso l’ignoto per affrontare un transito interiore il cui esito, prima di cominciare, è incerto. La risposta è semplice: la vita è movimento, dinamismo, evoluzione. Se vogliamo viverla fino in fondo, non possiamo rimanere in una situazione stagnante, che ci blocca, magari per anni. Perché, in questo stato, stiamo male e viviamo a metà.
Proviamo a pensare a questo scenario: immaginiamo che, crescendo, invece di affrancarci ed essere individui autonomi, rimanessimo agganciati alla volontà dei nostri genitori, eterni bambini che chiedono sempre il permesso di vivere; ciò che una volta è stato giusto, perché il loro amore guidava la nostra crescita, se non si evolvesse in un rapporto paritetico, a distanza di una trentina d’anni diventerebbe distorsione e dipendenza. La loro guida, diventata un giogo, ci renderebbe schiavi, o meglio, saremmo noi stessi a renderci tali.
Quando abbiamo l’intuizione, dunque, bisogna osare. E il momento è adesso, non domani, o tra un mese, ora.
Attuare il cambiamento e lasciare andare ciò che ci fa vivere male implica inevitabilmente di considerare il fattore tempo. Tutti noi, infatti, senza distinzioni, « frequentiamo » assai poco il momento che stiamo vivendo e abbiamo la tendenza a vivere nel passato, macerandoci in sentimenti di rabbia o di colpa, ipotizzando finali diversi a situazioni che sono morte e sepolte e che, per definizione, non si ripresenteranno mai più. Oppure viviamo in un futuro ipotetico, fantasmatico, in cui la paura e l’inadeguatezza la fanno da padrone, e di nuovo non ci rendiamo conto che quel tempo non esiste, non ancora, mentre le tensioni che provoca sono tristemente reali.
Se non viviamo nel giusto tempo non ci accorgiamo che l’esistenza ci scorre tra le dita, offuscata da vecchie ombre e frenata da vaghe proiezioni. Perdiamo di vista l’unico momento in cui il nostro potere di cambiare è inattaccabile e assoluto, il tempo presente. Perché è adesso che decidiamo come vogliamo che sia la nostra vita.
Quando vogliamo trasformare e lasciare andare ciò che ci fa star male, per prima cosa dobbiamo essere nel qui e ora. E il presente che ci permette di essere in contatto con la nostra verità, attimo per attimo, percependo le minime variazioni del nostro sentire e reagendo di conseguenza, per scegliere la cosa giusta nel momento in cui la stiamo vivendo. Il qui e ora è l’unico spazio-tempo in cui possiamo usare l’ascolto consapevole e nel quale siamo in grado, quando è necessario, di prestare la medesima attenzione agli altri, andando oltre la forma e vedendoli per ciò che sono.
Così facendo, le infinite possibilità in cui ci sembrava di perderci si ridurranno a una sola, il che ci consentirà di lasciare il passato nel passato e il futuro in un tempo che forse verrà. Potremo scegliere avendo le giuste informazioni e reagire a ciò che è – e non a quello che è stato o che sarà. E potremo farlo liberamente, senza continuare a trascinarci vecchi carichi che ci impediscono di progredire.
[Tratto dal libro ‘L’arte di lasciare andare’, di Rossella Panigatti]