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Il rito femminile del Trucco – L’arte magica di consacrare il corpo

di Luisella Vèroli

Nel libro Prima di Eva ho fatto parlare reperti archeologici, visitando siti europei dove il culto della Dea è stato sepolto e represso da secoli. Le mie successive ricerche archeo-mitologiche mi hanno portata in India e in Medio Oriente, dove ho incontrato donne che continuano a praticare il rito del trucco come nei tempi in cui eravamo sacerdotesse della Dea del Cosmo vivente.

Con questo nuovo lavoro ho voluto dar voce alle nostre antenate, immaginando la loro vita, i progressi che facevano nella ricerca del bello e del sacro. Ho affiancato ai miei racconti, uno per capitolo, un resoconto delle conoscenze che ho acquisito nello studio di archeologia, mitologia ed antropologia; informazioni sulla “storia pettinata“, come amava chiamarla Marija Gimbutas; schede sui miti, sui simboli e sulle dee che hanno via via incarnato la Signora del Cosmo vivente e sui simboli della bellezza femminile: il seno, le mani, la bocca, gli occhi, le orecchie, i piedi. Ho aggiunto, infine, i reportage di alcuni miei “scavi” in India, in Turchia, in Kurdistan e a Cipro.

Il termine cosmesi ha la stessa radice di Cosmo. Il rito del trucco è l’arte magica di consacrare il corpo per portare la mente lontano dalle preoccupazioni quotidiane, verso un mondo di bellezza divina, di armonia, di ordine, di pace interiore, di creatività.

Questa mia ricerca è partita quando dentro di me ho sentito che era arrivato il momento di dare ascolto alle mie due madri, quella biologica e quella simbolica, che mi hanno sempre rinfacciato che nella mia femminilità mancava qualcosa: Alda Merini mi prendeva in giro per la mia poca attenzione all’arte del trucco, mentre lei si sarebbe messa il rossetto e laccata le unghie anche in punto di morte.

Ho impiegato cinque anni a mettere insieme tutto ciò che potesse riguardare questo argomento e ora sarei davvero felice se il libro, Dal Cosmo alla Cosmesi, venisse letto da donne giovani. Ho voluto indirizzarlo a loro, cui noi adulte non dobbiamo mai smettere di parlare, affinché capiscano l’importanza di sedurre gli uomini, iniziandoli al sacro femminile e alla bellezza più profonda di noi donne.

Il culto preistorico della divinità nelle sembianze di una donna era ai primordi una forma di non-religione praticata dalle donne, una modalità per imitare, con il rito del trucco, la bellezza degli astri luminosi, di cui la divinità progenitrice del Tutto è origine e custode.

Le nostre antenate inventarono molte astuzie per educare i compagni ad abbandonare l’istinto predatorio, l’impulso a distruggere quello che non si può né sottomettere né divinizzare. Modellando statuette, dipingendo, ornando, ungendo e profumando se stessa e le “sacre pietre della Dea“, la femmina imparava a diventare donna, iniziatrice di una civiltà intesa come rispetto del corpo e del Cosmo.

Anche oggi, quando ci trucchiamo con naturalezza, cerchiamo consapevolmente di apparire magiche, ma anche soprannaturali, allo scopo di indurre chi ci guarda a rispettare il femminile, dentro e fuori di noi. Coltivare la bellezza, difendere tutta la bellezza del creato, è ciò che ci rende umani, che trasforma i maschi in uomini con sguardi senza possesso, le femmine in donne piene di saggezza.

Homo erectus? No. Foemina erecta

Foemina ludens (che gioca) è una mia definizione che vorrebbe correggere il modo in cui le scienze definiscono l’umanità, cioè sempre solo al maschile. Ho immaginato che lei, foemina ludens, per darsi un nuovo portamento libera le mani, non le usa più per muoversi, sta ritta sui due piedi. Lui la vede accennare passi di danza, a braccia levate, e rimane estasiato. In quella nuova posizione i seni non sono più penduli, come quando cammina carponi, ma puntano verso di lui come due enormi occhi. Il triangolo pubico gli si rivela come nuova geometria misterica, che nasconde alla vista l’entrata dell’oscuro cunicolo.

La biologia ci dice che nel mondo animale è il maschio a sedurre. Invece in quello umano è la femmina che, ispirandosi al mondo naturale e a quello celeste, inventa differenti canali di comunicazione seduttiva: per adornarsi si serve del piumaggio sgargiante degli uccelli e dei fiori profumati, per camminare si ispira alle movenze sinuose dei felini, per comunicare inventa parole dolci che imitano il cinguettio dei volatili, lo spruzzo delle cascate e altri suoni della natura.

Secondo me, lacci, pendagli, cinture, ghirlande di fiori profumati, collane di bacche tintinnanti sono state il primo gioiello inventato per sedurre, per portare a sé attenzione e carezzevoli sguardi, per provocare ammirazione per queste sporgenze che, come gli occhi, vogliono scrutare, studiare, relazionarsi al mondo circostante da protagoniste.

Valorizzando il seno con questi ornamenti, il primo trucco della foemina erecta sarà quello di sostituire al sedere come attrattiva il seno, che gli somiglia, ma è, nella posizione eretta, più vicino al viso, che dipinge con i colori della luna e del sole, sottolineando gli occhi con la cenere di arbusti profumati, lucidando le labbra con la cera del miele, disponendo i capelli in una commovente varietà di acconciature fin dalla più remota antichità.

L’estro si trasferisce, così, dal corpo alla mente delle donne che, avendo optato per la posizione eretta, hanno più controllo sul proprio corpo, che trasformano in tempio dove celebrare riti. Truccandosi da dee, le donne cercavano di avvicinarsi alla Grande Madre dell’Universo e di sacralizzare il corpo per renderlo seducente sul piano spirituale.

Se la seduzione nel mondo animale serve solo per procreare, lei si adopera perché in quello umano serva per provare piacere, per comunicare emozioni, per consolidare relazioni. Valorizzando e potenziando tutti i sensi, compresi intuizione e preveggenza, la femmina diventa il primo esemplare umano protagonista attivo nel campo della comunicazione simbolica del corpo, del linguaggio verbale, della scrittura a fini magici, erotici e spirituali.

Il Corpo, uno Spazio Sacro da curare

Tra i ventidue templi di Khajuraho, in Madhya Pradesh, risalenti al X sec. d.C., che ho visitato nel 2015, c’è il Parsvanath Temple. E’ dedicato ad una dea nera in posizione yoga. L’altorilievo di una donna che si trucca gli occhi, situato sul lato sud del muro esterno, mi colpì talmente tanto che l’ho scelto come immagine per la copertina del libro. Ai piedi di questa donna un aiutante tiene in mano un cofanetto di bellezza.

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La cura del corpo era un rito che veniva eseguito nel tempio. Un rito che le devadasi, le yogini, le addette al tempio facevano all’alba per agghindarsi come dee, e probabilmente, come noi, si struccavano alla sera, ritualmente, per purificarsi. L’alba e il tramonto sono sempre stati i due momenti magici in cui è possibile partecipare al mistero della creazione.

In sperduti tempietti di villaggi dell’India del Sud ho trovato la sopravvivenza di culti tantrici alla dea gestiti da donne o da delegati non professionisti eletti dalla comunità. In Tamil Nadu è stata una donna ad aprirmi la porta di un tempio dedicato a Chakray Amman, una dea dell’amore indigena, il cui idolo in pietra nera rappresenta una donna nuda con le gambe aperte e un fior di loto al posto della testa. La custode la unge di burro chiarificato due volte alla settimana, il martedì e il venerdì.
La statua viene addobbata per il festival in onore di Amma Vasai (mamma luna nera), che dura dieci giorni, nel mese di maggio. Caratteristica del tantrismo è l’uso di una simbologia sessuale molto esplicita per insegnare che la sessualità, anche quella autoerotica, non è separata dalla spiritualità: come il tempio, il corpo è uno spazio sacro, un capolavoro cosmico.

Purtroppo oggi, soprattutto in Occidente, l’eccesso di valorizzazione dell’energia maschile a discapito di quella femminile ha generato una pericolosa separazione tra sessualità e spiritualità.

Seshat, Dea della Scrittura e del Trucco

La Dea preposta al rituale del trucco presso gli antichi Egizi si chiamava Seshat, “colei che scrive”. Come Signora della scrittura era addetta all’archivio dei libri sacri conservati nelle biblioteche templari; come Dea del trucco insegnava alle donne l’arte della divina seduzione, che è l’arte della sacra scrittura applicata al corpo umano.

In occasione delle feste religiose, le sue sacerdotesse, truccate e con abiti cerimoniali, dipingevano anche il viso e le corna delle vacche sacre, considerate una delle tante incarnazioni della Grande Dea Madre che nutre. Prima di diventare, con l’avvento del patriarcato, moglie e segretaria di Toth, che ne usurpa i poteri, Seshat, il cui geroglifico era una stella sormontata da due crescenti lunari, simbolo del divino femminile all’ennesima potenza, dimostra di essere stata una dea primordiale del Cosmo vivente.

Le donne si ispiravano a lei per tradurne gli insegnamenti con simboli da disegnare sul corpo. Come Signora degli anni e del destino è rappresentata mentre incide segni su foglie di palma. Come se l’arte del trucco fosse alle origini strettamente legata alla scrittura geroglifica.

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Anche per gli Etruschi è una sacerdotessa, la ninfa alata Vant, al servizio della dea dell’amore Turan, ad essere rappresentata con il calamo in mano mentre scrive. Quando l’ho vista incisa sul retro di uno specchio bronzeo, ha preso consistenza dentro di me l’ipotesi che il trucco del viso e del corpo, nelle culture matriarcali, fosse un’invenzione femminile per comunicare saperi iniziatici. L’archeo-mitologia sembra confermare che la scrittura pre-alfabetica era praticata e insegnata dalle sacerdotesse della Dea in molte culture.

I primi specchi nelle antiche civiltà matriarcali

Lo specchio d’acqua è il simbolo dei simboli perché, riflettendo la luce del sole, della luna, delle stelle, è in grado di mostrare i lati nascosti della realtà visibile a occhio nudo. Lo specchio mostra ciò che non percepiamo con i soli cinque sensi. E’ il simbolo della visione spirituale e strumento di conoscenza, di riflessione. E’ da sempre un attributo delle sacerdotesse delle religioni pre-patriarcali che lo usavano, oltre che per truccarsi, come oggetto divinatorio.

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Deve essere nato così il senso di appartenenza cosmica, la consapevolezza di non essere separati dall’universo, ma di essere un tutt’uno con esso. I primi specchi in assoluto furono le coppelle con acqua ferma. Ancora oggi, in Asia, molte donne indigene cristianizzate continuano a deporre latte, miele, olio in antiche rocce coppellate, dove si recano per caricarsi di energie. I primi specchi in ossidiana, invece, risalgono al Paleolitico e arrivano al Neolitico.

I primi rossetti

Nel mito greco la prima a colorare di rosso le labbra fu Afrodite col succo di ciliegia. Ricordo che in primavera noi bambine ci divertivamo ad applicare sulle labbra i petali dei papaveri e poi, man mano che sbocciavano, quelli delle rose e, più tardi, il succo di ciliegia, di lamponi, di more.

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I primi rossetti di cui si ha testimonianza furono creati nel terzo millennio a.C. in Mesopotamia, in Egitto e nella valle dell’Indo, mescolando al miele e alla cera d’api pigmenti vegetali, minerali e animali. Ancora oggi in India e in Estremo Oriente le contadine preferiscono usare le foglie a forma di cuore della pianta del betel. Per ottenere un rosso sanguigno le farciscono con petali di rose, cardamomo, noce di areca e conchiglie sminuzzate. Masticando il tutto, oltre alle labbra, si colora anche la lingua. Uno dei gesti provocatori verso gli spiriti del male è quello di mostrare la lingua rossa, come fa Durga quando è arrabbiata e si trasforma in Kali.

Le Sacerdotesse di Innana

Le sacerdotesse di Inanna, seguendo l’esempio della Dea, furono maestre nell’arte di truccarsi gli occhi.. Negli inni religiosi a lei dedicati, Inanna, potente dea sumera dell’amore e della fertilità, viene descritta come prima figlia della luna che si trucca gli occhi con il kohl, si appunta sul petto la fibula con doppie perle ovali e si asperge la faccia con acqua sacra sotto la luna piena.

Ex voto sumeri la riproducono truccata, sdraiata su un letto insieme al dio Marduk: entrambi sono nudi e si guardano negli occhi. Non bisogna dimenticare che l’amore era un rito sacro che, stando a quanto attesta Erodoto, si faceva sopra la ziqqurat.

Le prime sacerdotesse mesopotamiche diventarono protagoniste consapevoli della relazione tra Cosmo e cosmesi, elaborando tecniche divinatorie e seduttive sempre più sofisticate da trasmettere al loro popolo: adattarono il calamo per incidere l’argilla a strumento per truccare gli occhi e renderli simili agli astri luminosi; con la scusa che serviva a proteggerli dal sole abbagliante, insegnarono anche agli uomini a usare il kajal, che sottolineava il loro sguardo, rendendolo più attraente e comunicativo nella relazione a due.

Profondamente consapevoli che il rapporto d’amore fosse fecondante per tutta la natura e portasse prosperità al popolo, insegnarono anche ai maschi riti purificatori e cosmetici, ottenendo che l’erotismo diventasse atto politico, pubblico, un’arte raffinata da praticare nei protetti recinti sacri del tempio.

I lunghi capelli delle antenate

I capelli sono da sempre simbolo di energia viva perché si rinnovano continuamente. Testimonianze archeologiche di pettinature elaborate si hanno fin dalle origini dell’arte paleolitica. Probabilmente le nostre antenate inventarono una cornice da dare al volto per valorizzarne l’espressione e per sottolineare la profondità del loro sguardo sul mondo.

Prendendosi cura della capigliatura come elemento di identità, la donna ha voluto dare valore alla sua differenza. Sul capo di una donna incinta, ritualmente sepolta 28.000 anni fa all’interno della grotta di S. Maria di Agnano (Ostuni), sono state rinvenute conchigliette forate. La Venere di Willendorf ha un’acconciatura elaborata che fa pensare all’invenzione di accorgimenti estetici per fissare conchiglie tra i capelli.

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Nel film Mustang le cinque sorelle turche con i capelli al vento fanno pensare a cavalle che fuggono al galoppo da matrimoni imposti dai genitori musulmani. I loro capelli sono simbolo di libertà incondizionata. La regista Deniz Gamze Ergüven ha volutamente ambientato il film sulle coste del Mar Nero, terra dove, secondo la tradizione, risiedevano le indomite Amazzoni, sacerdotesse della Signora degli Animali.

Le Amazzoni e le donne curde

Nell’autunno 2014 ho avuto l’opportunità di esaminare il mosaico delle Amazzoni nel nuovo, grandioso museo archeologico di Urfa, in Turchia, il più imponente al mondo, allora ancora in allestimento. Nel bellissimo mosaico del museo di Urfa le Amazzoni sono rappresentate come regine orientali truccate, ingioiellate e armate per andare a caccia sui loro destrieri. Il nome Amazzoni viene probabilmente da Maza, che in lingua circassa significa Luna; non vuol dire, quindi, “prive di seno”, come hanno tradotto i Greci nella loro lingua.

Che si volesse sottolineare che le Amazzoni del mosaico di Urfa fossero sacerdotesse di un culto della Dea degli Animali mi è sembrato evidente dal berretto frigio che indossano, dall’ascia bipenne in mano ad Antiope, dal seno scoperto di Melanippe, insegna di un’arcaica potenza femminile, dal suo abito rosso e dalla cintura che si diceva fosse magica: tutti attributi sacerdotali.

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Gli animali feriti dalle regine del mosaico (un leopardo, un leone, un lupo) secondo me sono simboli della resistenza armata contro gli invasori patriarcali: una resistenza armata che si appellava alla tradizione amazzonica per rivendicare con fierezza la propria indipendenza culturale, religiosa, politica, sociale. Proprio come fanno le curde di oggi che si battono contro i nuovi fondamentalismi, senza nascondere la bellezza dei loro sguardi e dei loro capelli intrecciati.

Ancora adesso le donne curde, come tutte le donne orientali, continuano ad essere delle iniziatrici alla cura di sé e dell’altro, all’amore per la bellezza e per l’eleganza non separate dalla spiritualità. Anche le donne moderne che militano per la democrazia, la laicità dello stato e la lotta alla discriminazione di genere, sono orgogliose della loro femminilità e la valorizzano al di là dell’intenzione seduttiva nei confronti del maschio.

Le anziane curde mostrano alle giovani i dek, tatuaggi tradizionali sul viso e sul corpo, che la legge islamica proibisce, ma che sia le arabe che le curde da millenni continuano segretamente a praticare e a trasmettere. L’origine matriarcale e sciamanica di questa usanza è evidente: l’ingrediente che si iniettano sottopelle con aghi da cucito è latte materno di una donna che ha dato alla luce una bambina. I simboli più frequenti sono gli stessi delle pitture e delle incisioni neolitiche: V isolati o ripetuti, ramoscelli, luna, sole, stelle..

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Per noi, donne di oggi, è importante riscoprire la sacralità nel trucco e nella cura del nostro corpo.
E’ fondamentale cercare la ritualità, l’autenticità, il contatto con il simbolico. Nei gesti dobbiamo cercare la lentezza, evitando di farli in maniera concitata e meccanica.

Dobbiamo ritagliarci degli spazi tutti per noi, come io ormai sono solita fare da tempo, dedicandomi al bagno della Dea, un appuntamento per me irrinunciabile. La benefica sensazione di piacere che si prova nell’acqua calda e profumata risveglia in me idee, progetti, sogni, e mi consente di fantasticare su ciò che il mio cuore desidera ancora dalla vita. Il bagno della Dea è per me un riposo creativo e rituale.

Ecco, la mia idea, con questo libro Dal Cosmo alla Cosmesi, è proprio quella di trasmettere alle donne l’importanza della ritualità nel prendersi cura di sé, del proprio corpo e della propria anima.

Fonte: ftnews.it

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