Antiche Conoscenze, Favole di potere, Percorsi Iniziatici, Sacred Feminine

I Ritmi della Madre nelle Fiaba – Imparare a seguire la voce dell’Intuito

di Micaela Balìce

Questo è il testo-traccia della conferenza “Archetipi femminili nella fiaba” che ho tenuto all’interno della serata dedicata alla Giornata Internazionale della Donna, organizzata dal Comune di Cigliano e dall’Associazione Culturale Laboratorio della Fabula, il 4 marzo 2011.

Archetipi femminili nella fiaba

Per cominciare ad introdurre il tema diamo alcune brevi definizioni utili per approfondire successivamente l’argomento.
Prima di tutto cos’è un archetipo.
Il termine, derivato dal greco, significa “modello, forma, tipo primitivo” da cui poi vengono modellate forme successive.

Si deve a Carl Gustav Jung il suo significato psicologico: l’archetipo è una sorta di linguaggio simbolico primitivo presente in tutte le razze umane.

Pertanto, tanto per fare un esempio, al “cuore” in senso archetipale potremmo associare termini o caratteristiche come “coraggio”, “amore”, “bontà”, “rosso” (e questo in tutto il mondo in modo pressocchè identico) ma mai tetmini come “giallo” o “rabbia” per esempio.

Le fiabe hanno utilizzato – nell’arco di millenni – questo linguaggio simbolico che è molto, molto simile al linguaggio onirico, quello dei sogni.

La fiaba è il più antico strumento educativo utilizzato: è di tradizione orale (le prime fiabe in forma scritta nascono dall’interesse di ricercatori per il folklore, quali Andersen e i fratelli Grimm, nei secoli tra il 1700 e il 1800 circa).

Fiaba e ritmo

Pertanto la narrazione (verbale) è il filo, la trama la musica sonora di cui la fiaba si è nutrita fino a pochissimo tempo fa.

La fiaba è ripetizione: la sua struttura orale implica per forza di cose una certa ridondanza, il ritmo.

Il bambino vuole e pretende che la fiaba venga ripetuta in quell’ordine di cose così come è stata narrata la prima volta perché questo crea stabilità e ordine interiore (e genera non pochi problemi a quel nonno o nonna o genitore che l’ha appena inventata).

La ripetizione dona certezza, dona punti fermi, quei punti fermi che oggi il mondo di internet e della Tv/cinema (che hanno sostituito la fiaba) non danno nè garantiscono più poiché il loro obbiettivo è il continuo e ripetuto mutare.

La fiaba era quindi lentezza, ripetizione, linguaggio simbolico e antico comune fra i popoli e scritto nel dna di ciascuno di noi.

Le donne nella fiaba della nostra tradizione sono sovente co-protagoniste: fanciulle, principesse, matrigne cattive, sorellastre, streghe. Ma anche bambine ingenue come Cappuccetto Rosso.
Potremmo quasi dire che ci sono più donne nelle fiabe che non uomini, sopratutto in quelle europee.

I ruoli incarnati dalle diverse tipologie di donne rispecchiano i ruoli della psiche femminile. Qualsiasi donna è stata una bambina ingenua (Cappuccetto Rosso) o una fanciulla principessa del suo piccolo mondo. Ciascuna donna ha dovuto superare le prove nella vita per diventare madre e “regina” della propria casa.

Il significato pedagogico della narrazione era (ed è) legato al dare degli strumenti psicologici alla donna/bambina per crescere forte e per saper affrontare le difficoltà della vita in un mondo spesso ostile.

Abbiamo quindi tre figure principali del mondo femminile della fiaba, che rispecchiamo le tre fasi della donna dalla pubertà alla vecchiaia.

La Fanciulla
La fanciulla (o bambina) è la pubere, la ragazzina appena prima della sua maturità fisiologica o alla sua prima manifestazione di maturità: è il bocciolo, è la luna crescente.

È tendenzialmente la protagonista, colei che “vivrà – poi – felice e contenta“.
In genere è ingenua, ha bisogno di sperimentarsi, è sognatrice, desidera un mondo migliore per sè e per i suoi cari, si prende cura degli altri.

Può anche essere la fanciulla sciocca, egoista, attaccata al denaro, vanitosa ed in questo caso veste i panni della sorella o sorellastra e non fa mai una bella fine.

La Madre
La seconda figura è quella della madre: spesso è morente, muore o è già morta. Questo non perché ci sia un tentativo di negativizzare la figura materna: anzi. La madre nella fiaba è sovente buona, ha dato buoni consigli ma non c’è: non può più proteggere la fanciulla.

Questo è un passo importante perché rappresenta la fanciulla che deve crescere ed affrontare il mondo (lupi o orchi compresi) facendo tesoro della “mamma buona” che ha interiorizzato e dei suoi buoni consigli.

Una mamma che per troppo amore non “muore” (ovvero non lascia andare la figlia) genera dei seri danni alla crescita psicologica dei propri figli, li rende dipendenti ed incapaci di affrontare il mondo e le (tante) frustrazioni che vi sono.

Le madri hanno una grande forza: proprio perché sanno “morire” molte molte volte.

Ma la madre è anche la nostra (come donne) seconda fase di sviluppo e crescita: quando finalmente generiamo e/o ci prendiamo cura degli altri esseri più deboli noi siamo madri: sappiamo cos’è la Vita (perché l’abbiamo data) e sappiamo cos’è la Morte (perché sappiamo anche lasciare andare ciò che più amiamo).

Simboli della madre dal punto di vista archetipale, fra gli altri, sono la Luna Piena, il Cerchio, la Mucca, l’Orsa.

La Strega / Matrigna
La terza figura (che è anche la terza fase nella vita adulta di una donna) è la matrigna / strega.
Sovente le due figure si confondono l’una nell’altra come in Biancaneve.
In realtà ci sono ramificazioni più complesse perchè qui abbiamo due significati/figure:

  1. la Madre/matrigna nella sua accezione negativa che è anche Strega/Fata cattiva;
  2. l’anziana che è sì Strega e spaventosa ma alla fine si rivela utile alla protagonista (come nella fiaba di Vassilissa / Baba Yaga).

Sicuramente ed in entrambi i significati, in questa fase la donna ha dei poteri: sa cosa si deve fare e come deve fare (la que sabe come la chiama la Estés).
Non a caso spesso è lei a costringere la fanciulla a superare le prove.

Tra le prove più comuni vi è, per es., la separazione dei semi (spesso molto piccolli come quelli di papavero) da altre cose meno utili ma sempre piccole.

Questa era un’attività che veniva realmente svolta dalle donne prima dell’invenzione di macchinari industriali, ed è sovente presente nelle fiabe come “prova” sin dall’antichità, basti pensare alla fiaba di Amore e Psiche come viene riportata da Apuleio nelle Metamorfosi.

Questa attività insegna la pazienza, e la capacità di discriminare ovvero di distinguere il buono da ciò che non è buono attraverso un’attività pratica. Rende acuta la vista (anche inetriore) della fanciulla che nella sua vita deve essere abile nello scegliere.

Ricordiamo che fino a proprio pochi anni fa le donne – anche in Italia – possedevano solo la dote (che spesso stava tutta in un baule) come proprietà: nient’altro. Il loro benessere ed il benessere dei loro figli dipendeva dalla loro scaltrezza e abilità, e dalle loro scelte in un contesto che era “la famiglia del marito”.

Così la Matrigna/Strega sia nel bene sia nel male insegna alla fanciulla ad affrontare la vita. La pone di fronte ai problemi davanti ai quali la fanciulla ha solo il suo buon senso, quello che qui è stato definito intuito.

Ma la Matrigna/Strega è anche la terza fase della vita di una donna: è la sua menopausa, è il suo diventare “suocera”, è la capacità di passare la sua esperienza (che è “potere”= capacità di fare le cose) a chi è più giovane.
I suoi simboli sono la Luna calante, la Luna Nuova – detta anche Nera, la Strega, la vecchia, l’albero vecchio …

Nella fiaba allora la fanciulla si trova ad affrontare e a relazionarsi con diversi aspetti femminili che lei troverà non solo fuori di sè nelle donne che la circondano, ma anche dentro di sé, come figure psichiche che con le loro voci cercheranno tutte le volte di confonderla o di indirizzarla.

Quale arma ha la fanciulla (che vive ancora dentro di noi, a prescindere dall’età) per capire cosa deve fare di fronte alle scelte o alle prove della vita?
Imparare a seguire la voce dell’intuito, quella voce interiore che appartiene alla madre buona e alla vecchia saggia: a “colei che sa”.

Imparare a discriminare tra le voci quella vera e sincera del suo animo.
Una volta che avrà imparato a seguire la voce del proprio intuito qualsiasi donna sarà oramai in grado di sapere cosa è giusto fare divenendo – così – quella grande ricchezza sia per la propria famiglia sia per la comunità alla quale appartiene.

Fonte |©2011 Micaela Balìce | Qualsiasi riproduzione, senza esplicito consenso dell’autrice è vietata.


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