Antiche Conoscenze, Percorsi Iniziatici, Solstizi

Il Presepe – La Mappa segreta della Via Iniziatica dell’Anima

Nei segni più semplici si cela la sapienza più profonda.

Il presepe di Natale sembra una memoria solo popolaresca e folkloristica, eppure il suo fascino ci parla un linguaggio antico ed eterno che mai cessa di stupire e di incantare, come irradiando una luce delicata ma penetrante, soffusa ma gloriosa.

Nel presepe napoletano i simboli appaiono più vari e più ricchi, in quanto discendenti dai Vangeli apocrifi e dalle ricche tradizioni orali, ma iniziamo accennando alla dimensione temporale del Natale per poi analizzare gli elementi essenziali del Presepe, soffermarci sui segni complementari, per poi proporre un esempio di composizione apparentemente innovativa del Presepe, ma in realtà più tradizionale e più fedele all’eterno Mistero.

Tutto sta nel ricordarsi che il Presepe è teofania (theophàneia, theos+phàinein, letteralmente ‘manifestazione della divinità in forma sensibile’) e cosmogenesi (cosmos+genesis, ‘genesi del cosmo’) sacra e viva rappresentazione e processo dinamico trasfigurativo.

Il Tempo del Natale è il tempo di Aion, il tempo della sapienza e della genesi creativa.

In epoca alessandrina al solstizio d’inverno una processione usciva dal tempio di Kore e si gridava: “la Vergine ha partorito l’Aion”! In tale occasione l’immagine di un bambino veniva portata in processione dal tempio al Nilo per raccogliere acqua che poi si sarebbe trasformata in vino.

Nel IV secolo, in Egitto, insieme alla festività nazionale della nascita del Sole, celebrata al Solstizio invernale, Epifanio descriveva la nascita di Aion celebrata il 6 Gennaio:
“Ogni anno, presso il santuario (Koreion) si teneva la festa per la nascita di Aion. I fedeli trascorrevano la notte vegliando, accompagnandosi con musiche sacre. Al primo canto del gallo, alcuni di loro si spostavano, reggendo le torce, verso la cappella sotterranea, da cui prelevavano un idolo ligneo, seduto su una sorta di lettiga, segnato con cinque sigilli a forma di croce, uno sulla fronte, due sulle mani, due sulle ginocchia. Questo idolo era portato in processione, compiendo sette volte il giro della cappella interna del tempio, salutato con suono di flauti e tamburelli e con il canto degli inni. Infine, l’immagine era riposta nella cripta. Alla richiesta di una spiegazione del mistero, i fedeli rispondevano: ‘In questo giorno e in questa ora la Vergine (Kore/Atena/Iside) ha dato alla luce Aion’”.

Questa unica e speciale fase del tempo inizia il 13 dicembre e continua fino al 2 febbraio (da Santa Lucia a Candelora). Sono le feste della Luce.

Ovviamente stiamo parlando di un tempo qualitativo, cioè di una dimensione/stato dell’essere che si manifesta in modo particolare solo quando si apre la porta del Solstizio Invernale e la Luce inizia a crescere.

Il tempo del Natale è il tempo epifanico della nuova Luce, della Rivelazione, della Rinnovazione palingenetica, il tempo decembrino di Saturno e di Dioniso quali simboli dell’età dell’Oro che irradia celandosi e si lascia sorgere nel nascondimento e nel travestimento, il tempo del carnevale nordico che segna il passaggio all’anno nuovo, dove si danza e si suona, si accendono fuochi e si arde il vecchio, il tempo del compimento.

Il presepe non è solo una più o meno ricca decorazione per le vacanze invernali. È l’espressione plastica di un percorso iniziatico di rinnovamento, di quello che gli psicologi junghiani chiamano processo di individuazione.

Come molti già sapranno, le festività natalizie (ma del resto già i Saturnali dell’antica Roma) non sono altro che la celebrazione di riti di rinnovamento che coincidono con il Solstizio d’inverno, cioè con il momento più “buio” dell’ipotetico cammino del Sole. E’ questo il momento in cui la vita si ferma, la vegetazione si iberna, molti animali vanno in letargo ecc.

Non dissimilmente dal processo alchemico, ci troviamo di fronte alla dissoluzione del vecchio, alla putrefazione autunnale delle piante (paglia, tronchi d’albero, ecc. fanno del resto parte della tradizionale iconografia natalizia) per far posto al Nuovo, alla rinascita del Sole che porterà, con la primavera, al rifiorire di piante e fiori.

Non finisce qui però.

Secondo l’antropologo Mircea Elide, questo è anche il momento in cui il Tempo Eterno (o Sacro) irrompe nel tempo quotidiano, il momento in cui i cicli si compiono e si rinnovano e inizio e fine coincidono, il momento in cui le anime del passato tornano a farsi “vive”, a mescolarsi con i viventi (da qui deriverebbe l’uso di utilizzare alimenti ricchi di semi, tradizionale “cibo dei morti” in quanto sintesi essenziale di quello che sarà il frutto; anche il Panettone, con la sua uvetta e i suoi canditi, appartiene a questa tradizione).

A voler essere corretti, bisognerebbe estendere questo periodo dalla notte di Halloween (Samhain) fino alla Candelora (Imbolc) (2 febbraio).

A questo punto cominciano già a svelarsi alcuni dei possibili significati nascosti dei vari elementi che costituiscono il Presepe.

Il primo elemento è la Notte.

Notte oscura dell’anima, momento di crisi, di esaurimento del vecchio ciclo, di insoddisfazione per l’esistenza attuale. Momento di Caos. Ci si sente estranei da tutto, come Giuseppe e Maria rifiutati da ogni luogo, ci sente respinti.

E’ allora questo il momento in cui si raccolgono le forze e si cerca di arrivare al nocciolo della questione, di toccare il fondo che è però nello stesso tempo il punto di massimo contatto con l’Origine, con la Terra: la Grotta (o la Stalla, che in quanto costruzione elementare atta al ricovero delle bestie non si discosta molto dal significato della cavità naturale).

La Grotta è il livello più profondo di raccoglimento, di introspezione, una sorta di nuovo grembo che accoglierà la (ri)nascita rappresentata dal bambino-Gesù.

Accanto a questo luogo di riflessione sta in genere un altro spazio complementare, quello della Taverna, il Diversorio delle Antiche Scritture, in cui a prevalere è il presente effimero del godimento immediato, dell’eccesso e dell’alcool, dell’incoscienza e dell’ottundimento, della regressione al dato biologico puro.

Gli avventori non offriranno ricovero a Giuseppe e Maria, non sapranno rendersi conto di quel che sta accadendo, non saranno in grado di partecipare al rinnovamento profondo che sta per essere messo in atto.

Appartengono a questa categoria anche alcune figure tipiche dei vari allestimenti presepiali, come il Pastore Dormiente, chiaro simbolo di estraniazione e inconsapevolezza (dorme mentre si va compiendo il percorso evolutivo).

A questi due luoghi contrapposti fanno corona tutto un insieme di personaggi, diversamente disposti secondo le varie realizzazioni: tutti protesi e in cammino verso la grotta, divisi a strati sovrapposti in cui la Grotta o sta in cima (punto massimo del percorso) o alla base (fondamento).

I veri protagonisti sono però Maria, Giuseppe e Gesù.

La vergine Maria non rappresenta tanto l’espressione di una castità comunemente intesa, ma una verginità non dissimile da quella delle dee vergini pagane come Artemide, una verginità intesa come un “bastare a se stessi” che qui va inteso come un cercare dentro di sé.

La verginità di Maria non rappresenta in fondo che questo, un volgersi all’interno, un confrontarsi con l’aspetto più profondo di noi per tirarlo fuori, darlo alla luce appunto, un “divenire quel che si è” (che, al solito, non è mai un fare quel che si desidera soprattutto perché i desideri son quasi sempre coatti e imposti dall’esterno).

È con Maria che il principio di individuazione si compie, è con lei che il principio astratto si concretizza, si incarna letteralmente.

Giuseppe è entrato a far parte degli allestimenti piuttosto tardi, ma il suo ruolo è fondamentale. Non è il formatore, il Maestro, no. È il tutore, la guida, colui che accompagna.

La sua figura afferma chiaramente che la nascita della coscienza e il principio di individuazione nascono virginalmente nell’individuo stesso e non per il processo di fecondazione esterno, non a caso Giuseppe non è presente al momento dell’Annunciazione né al momento del parto.

Per chiarire il suo ruolo può essere utile tirare in ballo un altro famoso Giuseppe, Geppetto, il quale non dà la vita al pezzo di legno che diventerà Pinocchio ma si limita a plasmarne la materia, a mettere a disposizione la sua arte e le sue conoscenze, non diversamente da come fa il Giuseppe sposo di Maria.

La prima festa cristiana a essere celebrata fu in realtà la Pasqua (del resto la Resurrezione è l’elemento cardine della fede), la Natività si cominciò a celebrarla invece tra il 326 e il 354.

Le primissime immagini contemplavano solo la coppia madre-figlio e la presenza dei Re Magi.

Fu Francesco d’Assisi a ribaltare l’iconografia e, di fatto, ad “inventare” il Presepe ( a Greccio, nel 1223), introducendo le figure dei pastori (e i vari lavori dei contadini) e mettendo in scena il primo Presepe vivente della storia (e saranno di fatto i francescani a diffonderlo in tutta Europa).

Il significato di questo cambio di prospettiva è lampante in un’ottica francescana, la povertà (semplicità dei pastori, umili, i più vicini alla terra) balza in primo piano.

Accanto alla sacra famiglia, troviamo due animali, il bue e l’asinello.

L’asino non è il prototipo della razionalità, è anzi l’emblema del cieco istinto. Tuttavia le sue grandi orecchie ne fanno un campione dell’ascolto, dell’ascolto di quanto viene dall’inconscio.

Nella Bibbia si racconta ad esempio che il profeta Balaam venne convocato da Balak per fargli maledire il popolo ebraico con i suoi poteri magici; lungo il cammino però, l’asina che il profeta cavalcava, deviò per tre volte il suo sentiero, proprio perché si accorse, lei e non lui, del richiamo dell’angelo inviato da Dio per distoglierlo dall’incarico.

L’asino è collegato ai miti di rinnovamento fin dall’antico Egitto, dove l’animale era associato al dio Seth, il lato “oscuro” del Pantheon egizio, colui che tramò la morte di Osiris, tagliandolo poi in quattordici pezzi poi ricucite dalla sposa-sorella Iside.

Anche questo mito chiarifica un altro aspetto simbolico dell’animale oltre a quello citato in precedenza: le forze che vengono dall’inconscio a contrastare e a impedire il processo di crescita (il recalcitrare…), impedimento necessario però, tanto quanto lo smembramento (varrà la stessa cosa per il Dioniso dei Greci), il fare a pezzi per poi ricostruire (anche di questo ci si ricorderà tanto nei piatti tradizionali come il cotechino, pezzi di carne messi insieme, quanto in personaggi del presepe come l’Oste, il venditore di salsicce, il macellaio e infine la “polpettara” che ad ogni polpetta associa l’anima di un morto).

Anche il bue (o meglio il toro, che ne rappresenta il lato più selvaggio e meno ammansito) partecipa ai rituali di rinnovamento fin dai tempi più arcaici. Rappresenta l’inconscio primordiale, le risorse vitali e fecondative depotenziate della loro pericolosità e incontrollabilità.

I tre Re Magi, che meriterebbero un discorso a parte, rappresentano tre diversi ma importantissimi aspetti, tutti favorevoli al processo evolutivo, resi perfettamente dai doni che recano con sé: l’Oro (l’incoronazione come Re, di se stesso non degli altri), l’Incenso (la funzione sacerdotale, la capacità di intraprendere un percorso spirituale) e la Mirra (resina usata per imbalsamare, che quindi ci riporta alla resurrezione o meglio ai vari processi di rigenerazione cui andremo incontro nella nostra vita).

Centro di tutta la rappresentazione e di tutto il percorso è ovviamente il bambino, nato umile e povero (senza orpelli, radicalmente).

Caratteristiche evidenti di questo Fanciullo Divino sono la Luce (fatta nascere non a caso dall’Oscurità della Grotta), la doppia natura divina e umana (spesso il bambino viene rappresentato con due dita tese per questo motivo), il suo essere l’Inizio di un processo di rinnovamento (è cosa questa da tenere ben presente, tutto è predisposto a celebrare non il compimento di qualcosa bensì l’inizio).



Partenogenesi
Il culto della nascita divina nell’antica Grecia
Ishtar la Stella
La via della conoscenza e l’unione degli opposti nei Sumeri e Assiro-Babilonesi
L'Antro Divino
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